Consulenze sui rimborsi, giudice Massimo Vaccari (Corriere del Veneto): I correttivi che servono
La norma del Fondo Indennizzo Risparmiatori, la presentazione delle domande, il nodo del compenso e il rischio contenzioso. I punti che potrebbero essere migliorati (qui anche il commento di VicenzaPiu.com)
Vorrei tornare sul fenomeno, al quale il Corriere del Veneto sta dando risalto da alcuni giorni, delle richieste di corrispettivo che alcuni soggetti (associazioni e avvocati) rivolgono ai risparmiatori traditi per prestare loro assistenza nella predisposizione e nell’inoltro al fondo di ristoro delle domande di indennizzo.
Una simile prassi a detta di molti è contraria alla legge ancor prima che disdicevole. A mio avviso giudizi così drastici non tengono conto di tutti gli aspetti della questione. Si è detto che la pretesa di un compenso per queste attività da parte di avvocati è vietata da una specifica norma della legge di bilancio per il 2019, che prevede che: «La prestazione di collaborazione nella presentazione della domanda e le attività conseguenti non rientrano nell’ambito delle prestazioni forensi e non danno luogo a compenso».
Tale previsione risulta però alquanto ambigua e può essere letta in un’accezione più ampia, ovvero nel senso che la collaborazione nello studio ed istruttoria delle pratiche non è riservata a chi esercita la professione forense e comunque non giustifica la richiesta di un compenso, nemmeno da parte di associazioni private che a quelle prestazioni si dedicassero. Un eventuale accordo di segno contrario sul punto probabilmente potrebbe quindi essere impugnato.
A prescindere dalle conseguenze della sua violazione la norma non pare del tutto compatibile con l’art. 36 Cost., che riconosce ad ogni lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e risulta distonica rispetto ad analoghe esperienze. Basti pensare che per la procedura di arbitrato Anac per l’accesso al Fondo di solidarietà per i risparmiatori che avevano investito in titoli delle banche centrali non è stato previsto un analogo divieto.
La disposizione citata ha anche evidenti controindicazioni pratiche. Infatti priva quanti tra i risparmiatori non avessero le necessarie conoscenze tecniche della possibilità di avvalersi di soggetti che potrebbero fornire loro una utile attività di supporto, esponendoli al rischio elevato che le loro istanze di indennizzo vengano rigettate.
Al riguardo va evidenziato come già la selezione della documentazione rilevante e l’inoltro sulla piattaforma informatica Consap delle istanze può risultare proibitiva per alcune categorie di soggetti, come pensionati e casalinghe, che notoriamente non hanno dimestichezza con l’informatica. Inoltre le domande di indennizzo diretto presuppongano valutazioni giuridiche non alla portata di tutti, come ad esempio quelle sulla sussistenza della soglia patrimoniale o sulla qualità di cliente professionale. Piuttosto complesso può risultare poi l’esame della posizione di chi si ritenga vittima di violazione massive del Tuf.
Al contempo la norma favorisce, come è già stato evidenziato da altri, pratiche elusive come quella di richiedere, anziché un vero e proprio compenso, un rimborso spese, sebbene queste siano difficilmente ipotizzabili nel momento in cui sia le domande di indennizzo che la documentazione a loro supporto vanno presentate tramite la piattaforma informatica della Consap.
Il ricorso ad un simile escamotage da parte di chi eserciti la professione forense può integrare accaparramento di clientela atteso che il Consiglio Nazionale Forense di recente ha affermato che «l’accettazione di un incarico professionale comportante un compenso onnicomprensivo irrisorio mortifica la funzione stessa della professione forense, estrinsecandosi in un comportamento lesivo del decoro e della dignità che devono caratterizzare le attività dell’avvocato».
Per evitare comportamenti come quelli di cui si è detto, nonché al fine di contemperare l’esigenza, più che comprensibile, di non esporre gli aspiranti all’indennizzo a costi elevati con la tutela del diritto ad una equa retribuzione di coloro che li avessero assistiti, si sarebbe potuto stabilire un importo fisso, non irrisorio, quale compenso ottenibile per tale attività, e la possibilità di un suo aumento, entro un limite pure normativamente fissato, in caso di particolare complessità della prestazione da rendere.
Un intervento correttivo in tale direzione è ancora possibile anche al fine di evitare futuri contenziosi sulla questione .
*Massimo Vaccari, Giudice del Tribunale di Verona
Il Corriere del Veneto
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